L’Industria Italiana. Una struttura che va ripensata.
In Italia non c’è solo un problema di salari. Ma anche della qualità del lavoro e di preparazione della leadership aziendale, sia in ambito privato che pubblico. Una leadership ancorata a metodi arcaici ancora di più se pensiamo all’incredibile spinta che ha dato il Covid alla società attuale.
La conseguenza è un flusso migratorio qualificato verso paesi come Belgio, Olanda, Germania e Francia. Ma anche Svezia, Norvegia e Finlandia. I numeri dicono che oltre mezzo milione di cittadini italiani hanno lasciato il Bel Paese negli ultimi 6 anni.
Al contrario di altri paesi europei, in Italia i salari sono rimasti ingessati mentre la produttività non è aumentata. Questo significa che la competitività italiana a livello internazionale, a meno di eccezioni, si basa principalmente sul tenere bassi i salari invece che puntare su eccellenza, qualità, innovazione e un project management capace di affrontare le sfide del mondo di oggi. Un mondo globale e digitale.
Per uscire da questa situazione serve rendersi finalmente conto che il settore industriale italiano, basato su piccole e piccolissime aziende non potrà reggere di fronte la competizione internazionale. È un sistema destinato a fallire.
Le piccole e piccolissime aziende sono certamente importanti per il tessuto socio-economico di ogni paese. Ma molti paesi europei avevano anche capito che in un mondo globalizzato, le piccole e piccolissime aziende non possono diventare la struttura portante dell’industria poiché rischierebbero di diventare nel tempo un elemento di debolezza invece che una vera ricchezza per il paese.
La trasformazione del tessuto industriale italiano è oggi più che mai necessario. Se ne discusse 30 anni addietro. C’erano esempi chiari. Come poteva essere la riforma tedesca o quella americana delle aziende. Una visione che prevedeva l’utilizzo di strutture manageriali anche all’interno di aziende familiari. Si sarebbe dovuto e potuto fare qualcosa di più.
Eppure, anche nella visione industriale, così come in quella delle infrastrutture, dell’energia e dei trasporti, l’Italia decise di non decidere. Di rimanere immobile.
Il nuovo governo, se vuole essere di cambiamento, deve cominciare proprio da ciò che non è stato fatto in passato. Rendere l’Italia più attraente dal punto di vista industriale e degli investimenti.
È necessario quindi puntare su una transizione industriale che porti l’Italia del 2050 a competere alla pari con le imprese estere, smettendola di puntare su precarietà e bassi salari.
È un cammino coraggioso. Che potrebbe anche urtare una parte importante dell’elettorato italiano che ha permesso la vittoria del centro destra. Ma l’Italia merita di avere una visione che vada al di là delle prossime elezioni.
Iniziare un nuovo cammino spaventa. Ma dopo ogni passo ci rendiamo conto di quanto fosse pericoloso rimanere fermi (Cit. Roberto Benigni).
