
Dopo tredici anni dalla pubblicazione di Appunti sonori per una cosmogonia caotica, Il Castello delle Uova, band post-prog con base a Marsala (TP), torna sulle scene con un nuovo concept-album intitolato L’enigma del capitale. Il disco muove la sua narrazione su tre eventi: il bombardamento alleato di Marsala dell’11 maggio del 1943, in cui morirono in una sola notte, circa mille persone; lo scoppio della crisi del 2008; l’uccisione del sindacalista siciliano Vito Pipitone, raccontata dalla voce di Gaspare Li Causi, suo compagno di lotte. Un flusso sonoro che si disperde nei meandri dello spazio indefinito, privo di pareti e certezze, in cui il viaggiatore del tempo osserva il vuoto attraverso il vetro della propria tuta spaziale. Un buio privo di radici, da cui il viaggiatore esce frastornato da ipnotici graffi sul vuoto, tra il silenzio dello spazio infinito e distorsioni martellanti e ipnotici. Flussi psichedelici che attraversano l’orbita terreste e delicate melodie. Il disco si muove lungo terreni scoscesi che spaziano dall’introspezione intimista de “Il flusso si interrompe” passando per le possenti chitarre di “Quale prezzo per la sopravvivenza”. Il pianoforte di Salvatore Sinatra, scivola delicatamente sopra una tempesta di chitarre elettriche generata da Pietro Li Causi, ricamando orizzonti indefiniti e accompagnando il basso ponderoso di Ambra Rinaldo che struttura e accompagna sapientemente la voce di Benny Marano. Una costruzione capillare, clinica, che viene rigidamente tenuta in piedi dall’impeccabile batteria di Abele Gallo. Forme che si modellano come l’argilla, mutando colori e ombre che poi si intrecciano e si destrutturano nel continuo gioco di contrasti, su cui fanno capolino le voci di Ninni Arini. Un viaggio onirico senza spazio e senza tempo.

“La musica, come sempre avviene per il castello delle uova, è stato un parto lento e collettivo. Quanto alla scrittura dei testi, ho avuto il piacere di condividerne la responsabilità con Benny. In essi abbiamo fatto confluire tutto il nostro dolore e la nostra rabbia per la deriva che il neoliberismo ha imposto negli ultimi decenni all’umanità, per la frantumazione di una tradizione, quella della sinistra italiana, nella quale tutti noi all’interno del gruppo, in tempi e modalità diverse, ci siamo riconosciuti e che, in passato, abbiamo anche contribuito a far crescere. Quello che abbiamo voluto raccontare – attraverso la musica – è stato il modo in cui il pensiero egemone e la crisi hanno modellato il mondo, stravolgendone l’aspetto e i valori chiave” – ha spiegato Pietro Li Causi che ha aggiunto– “Abbiamo voluto esplorare, a modo nostro, le conseguenze di questo processo: la fine del lavoro e gli scenari del post-lavoro, la crisi climatica, l’estinzione dei diritti, il controllo panottico dei dati personali, la desolazione dell’irrilevanza, le passioni tristi alimentate dal flusso fagocitatore del capitale e dalle sue brusche frenate. In questa sorta di esplorazione sonora, abbiamo voluto rendere il bombardamento alleato di Marsala come il centro di una apocalisse. In greco, il verbo apokalyptô significa ‘svelo’ – continua dicendo– “Ebbene, per noi quella Marsala, la Marsala dove io, Abele, Salvatore e Ambra siamo nati, la Marsala della notte dell’11 maggio del 1943, in cui quasi 1500 persone sono morte, è come il teatro simbolico della scoperta delle diseguaglianze sociali, della schiavitù del lavoro, del disinganno; un luogo metaforico che, appunto, ‘svela’ e permette di decifrare – attraverso il ricordo delle sue strade devastate e delle sue macerie – il senso profondo della crisi globale – e dell’incubo – che ha il suo culmine nella pandemia, ma che secondo noi ha avuto inizio molto prima –Pietro ha voluto inoltro puntualizzare che– “Quello nostro però non vuole essere un lamento. È anche l’esplorazione di prospettive aliene e possibilmente inedite. Proprio per creare questa moltiplicazione dei punti di vista, da un lato abbiamo deciso di iniziare la narrazione dell’album – come fosse una archaiologia – con i Kitchen Debates recitati da uno splendido David Konstan, dall’altro abbiamo inserito spezzoni di alcune interviste che ho fatto personalmente a mio padre sulla militarizzazione del lavoro in epoca fascista e sulle lotte contadine degli anni ’40 e ’50 dello scorso secolo. I Kitchen Debates raccontano di un capitalismo che promette un benessere perpetuo, cancellato dalla prova dei fatti. I racconti di mio padre invece sono la testimonianza di un mondo in opposizione” –ha precisato che– “Non sono mera nostalgia di un tempo che fu, sono, in un certo senso, il passaggio di un testimone alle generazioni future, il barlume di una possibilità ancora presente. Forse mai come ora. Quanto ai nostri processi di composizione, devo dire che – volendo riprendere il titolo di uno dei nostri pezzi – questi cinque anni che abbiamo passato fra il Tartaruga Records di Gregorio Caimi (dove gran parte del materiale è stato inciso) e il mio home-studio sono stati per noi un modo di ‘sopravvivere all’irrilevanza’ cercando di coltivare la logica artigianale della creatività e contrapponendola alla logica della produttività. Questo, in fondo, è uno degli aspetti positivi del vivere nella provincia di un impero. Siamo, per molti versi, una sacca nel tempo che scorre” –ha concluso sottolineando che-”L’enigma del capitale non è un’opera sfornata per un’etichetta discografica. È un album indipendente. È nato dall’urgenza esistenziale di rimuginare sul dolore e sui tempi bui, ma anche l’urgenza relazionale di ritrovarsi fra vecchi amici e passare del tempo insieme non semplicemente per chiacchierare, piangersi addosso o rinvangare il passato, ma per fare qualcosa che – in tempi così frantumati – ci permetta dire ‘noi’ anziché ‘io’. Abbiamo cercato di creare l’album come un baco potrebbe fare con la seta. E il baco non crea valore. Non sa neanche cosa sia il valore. E tuttavia vive”.

“La costruzione de “l’enigma del capitale” è stata un processo osmotico intenso fra noi in carne ed ossa e la materia sonora e le idee che ne sono venute fuori. Ogni riff, ogni passaggio, è stato il coagulo del vissuto collettivo, e dei tempi che hanno ospitato il nostro processo: cinque anni di preparazione che ci hanno portato fin qui, fino al punto in cui il flusso del capitale si interrompe, si disgrega e leva il grido della sua incoerenza” – ha spiegato Ambra Rinaldo, aggiungendo– “Alla fine del lavoro, la sensazione che ci è rimasta è quella di passare dalla porta stretta lasciando indietro ciò che non serve più, e sollevando in alto le qualità che vogliamo incontrare nel futuro, a pugni chiusi come antenne verso il cielo”.

“Con i ragazzi ci siamo ritrovati a sorpresa dopo anni in cui non ci eravamo più visti. Io vivo a Brescia dal 2001. Stavo passando per caso da Marsala durante le vacanze di Natale di qualche anno fa, e… non a sorpresa ho ritrovato tutti quanti a suonare. “Stiamo preparando una nuova storia. Che ne dici?”. “Un disco nuovo, sul serio? Facciamolo!”. E lo abbiamo fatto” –ha dichiarato Benny Marano, che ha concluso– “ne é venuto fuori un unguento da utilizzare tutte le volte che si vuole calmare il dolore che proviamo nel guardare tutte quelle macerie che andiamo spacciando per felicità”

“Cinque anni di lavoro, una genesi lunga e in alcune fasi difficili, compiuta in uno dei periodi peggiori della vita di tutti noi. A volte mi chiedo se davvero ciò è stato dovuto al caso, o, in qualche maniera si possa parlare di un segno del destino. Certo è che la percezione dell’apocalisse, ognuno di noi, a suo modo, la porta dentro da un pezzo. L’enigma del capitale riflette le nostre paure in ogni singola nota, in ogni sincope in ogni pausa. In definitiva è un ‘brutto’ album, perchè così doveva essere: cattivo e brutto come il tempo che viviamo”, ha precisato Salvatore Sinatra.

“L’enigma è il filo conduttore di un lavoro pensato, suonato e registrato in tempi lunghi, per necessità e anche per quella ‘giovanile’ incoscienza che ti fa credere che di tempo ce ne sia sempre tanto. L’enigma sta nella stessa band che, un po’ per natura e un po’ per la distanza, pubblica due album a distanza di tredici anni l’uno dall’altro; un periodo in cui gli accadimenti, anche e soprattutto quelli dolorosi, hanno condizionato il modo di pensare un ritmo o una linea melodica. L’enigma risiede nella mente di sei persone che, lontani, riescono a fondere le proprie emozioni facendole diventare note, e parole dove un “cantato” potrebbe non essere la soluzione migliore. L’enigma è dietro a una maschera, indossata solo per immortalare un momento di arte: veramente il nostro sguardo è lo stesso di quando sognavamo guardando tramonti, gente, alberi, la pioggia? Le radici di questo Enigma sono solide, il mistero della loro forza, per tutti noi, una certezza”. Ha concluso Abele Gallo.