venerdì , 9 Giugno 2023

LE GRANDI EPIDEMIE DELLA STORIA: UNA LEZIONE DAL PASSATO

La Peste che il Tribunale della Sanità aveva temuto potesse entrare nel milanese, c’era entrata per davvero…e non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia […]. Poco dopo, in questo e in quel paese, cominciarono ad ammalarsi, a morire, persone, famiglie, di mali strani, violenti, con segni sconosciuti alla più parte d’è viventi […].

Ed ecco sopraggiungere avvisi…quando questi giunsero, il male s’era già tanto dilatato […] il Tribunale della Sanità chiedeva, implorava cooperazione, ma otteneva poco o niente […] gli avvisi di accidenti…ci pervenivano tardi e per lo più incerti […] sul finire del mese di marzo cominciarono a farsi frequenti le malattie… crescendo, ogni giorno, il numero di quelli che morivano, di quelli che andavan via, di quelli che perdevan la testa”. (A. Manzoni “I Promessi Sposi”, CAP XXX1, 1827).

Risuonano profetiche, quasi inquietanti, le parole del Manzoni, per certi versi perfettamente calzanti con ciò che stiamo vivendo nelle ultime settimane, in particolare in Italia presa dalla morsa del nuovo morbo del “Coronavirus”.

Persino le coincidenze geografiche e temporali sono impressionanti.

Durante la peste del 1630, il Tribunale della Sanità, nonostante invitasse a non fare gli assembramenti per evitare i contagi, quando il 18 novembre 1629 vennero celebrati festeggiamenti pubblici per la nascita di Filippo IV re di Spagna, la popolazione si mostrò sorda a tali appelli. A destare preoccupazione tra le persone era soprattutto il rischio di finire in quarantena. Quando ci si rese conto della reale gravità della situazione era troppo tardi e la peste era divenuta ormai dilagante. I lazzaretti erano al collasso. In beffa alle proibizioni e alle pene severe da parte delle autorità che esortavano a non oltrepassare i confini del cordone sanitario, una notte i nobili lasciarono Milano città per trovare rifugio presso i loro possedimenti terrieri nelle campagne.

Manzoni lo sapeva: l’essere umano è debole e ha paura, e quando ha paura, mette in atto comportamenti irrazionali. L’ignoranza commista al panico miete più vittime del virus stesso, ora come allora.

Della peste troviamo riferimenti in letteratura anche nel Decamerone di Boccaccio dove essa diviene il pretesto per riunirsi e cominciare a raccontare storie. Nell’arte invece veniva raffigurata con le sembianze di uno scheletro con una falce, castigo divino, simbolo dell’impotenza dell’ineluttabilità del nostro destino.

Risultano ridondanti alle nostre orecchie anche i consigli che, molti anni dopo, un articolo del 1918 del Corriere elargiva alla gente allo scoppiare della cosiddetta “spagnola”, un’ influenza virale che in quel periodo colpì un terzo dell’umanità in un’ Europa già provata dalla guerra. Anche all’epoca agli italiani fu chiesto di ridurre l’affollamento perchè si era notato che questa precauzione era risultata utile nel far registrare un’ immediata riduzione del numero degli ammalati. Un consiglio che oggi, ai tempi del Covid-19, è più che mai attuale visto che si invita la gente a non darsi la mano, non baciarsi e tenersi a debita distanza gli uni dagli altri.

Ma la spagnola, cosi come la peste, non sono state le uniche pandemie (dal greco pan-demos “tutto il popolo”) che hanno accompagnato il cammino dell’uomo, comparendo, scomparendo e ricomparendo di tanto in tanto periodicamente.

Alcune di esse si sono rivelate dei veri e propri flagelli che hanno cambiato il decorso demografico, economico e sociale della storia dell’umanità, dove malattie e morte travalicano i confini individuali facendo pervadere un senso di catastrofe collettiva.

Dalla metà del ‘500 le istituzioni governative di vari paesi iniziarono a scambiarsi informazioni di carattere sanitario per il bene comune. Spesso accadeva che la gente si lasciasse travolgere dal panico per cui si tendeva a nascondere la realtà dei fatti, ma accadeva anche il contrario ossia che voci allarmistiche infondate venissero diffuse di proposito e a sproposito e quindi poi le autorità fossero costrette a dare smentita.

Le precauzioni erano le stesse di oggi, essenzialmente, l’interruzione di ogni rapporto commerciale e di comunicazione col paese contagiato.

Nell’antichità per divulgare il messaggio di rischio venivano mandati i “banditori”, che avevano il compito di informare la popolazione perlopiù analfabeta.

Gli ordini emanati erano racchiusi in una Ordinanza, Editto o Decreto: chi infrangeva le regole della Sanità, come l’ oltrepassare i confini di quelle che oggi chiamiamo “le zone rosse”, veniva punito molto severamente con il carcere, le mutilazioni e addirittura la pena di morte. Sulla scalinata della Basilica del Palladio a Vicenza si può ancora ammirare il mascherone in marmo scultoreo nella cui bocca beffarda ogni cittadino in anonimato, poteva inserire le sue denunce in tema di sanità o rivelare nomi di presunti “untori”, anche se talora si rivelavano azioni di vendetta personale.

La posta era considerata un pericoloso veicolo di trasmissione per cui si usava disinfettare le lettere spruzzandovi sopra dell’aceto e, una volta lette, venivano bruciate in una sorta di rito che sfruttava le virtù purificatrici del fuoco.

Chi viaggiava doveva munirsi della cosiddetta “Fede di Sanità”, una sorta di odierno certificato medico che ne attestasse il buono stato di salute. Anche le imbarcazioni, spesso responsabili di essere portatrici di pericolosi batteri, dovevano munirsi di una specie di passaporto sanitario, ottenuto a seguito di scrupolosi controlli, chiamato “Patente di Sanità” che mostrasse che non trasportavano merci o passeggeri infetti.

Se comunque provenivano da porti sospetti, l’intero equipaggio e il carico venivano sottoposti in quarantena (cosiddetta perchè in genere durava 40 giorni). Le patenti del ‘600 e del ‘700 rispecchiavano la religiosità dei marinai riproducendo i Santi protettori.

I lazzaretti, invece, che in un tempo ancora più remoto erano ghetti per i lebbrosi, nel ‘600 erano una sorta di rudimentali ospedali da accampamento situati in luoghi isolati e recintati. Oltre i lazzaretti, i soggetti potevano vivere la quarantena anche presso la propria abitazione. I medici li andavano a visitare vestiti con il tipico costume con una sorta di mascherina a forma di becco, realizzato nel ‘600 appositamente per proteggersi dal contagio. Le cure di allora si basavano sull’uso di salassi, di intrugli di erbe oppure si faceva ricorso a pratiche devozionali e superstiziose.

costume medico della peste, 1600

Nel corso del tempo si sono susseguite varie pandemie, la maggior parte delle quali furono dovute agli animali (la peste nera ad esempio derivava dalle pulci dei ratti) e proliferavano in ambienti insalubri come navi e prigioni.

Ne ricordiamo alcune tra le più gravi:

  • la febbre tifoide di Atene nel 430 a.C. ;
  • le varie forme di peste, dalla bubbonica nel 541 a.C. dall’Egitto si diffuse nei territori circostanti del Mediterraneo con le caratteristiche pustole (bubboni) che comparivano sul corpo, alla peste nera che si presentò in vari periodi storici chiamata così per il colorito scuro che assumeva la pelle;
  • il tifo che colpì più volte l’Europa sin dai tempi delle crociate;
  • le numerose ondate di colera in tutto il mondo a partire dal 1816;
  • si dice che “Quando Mao starnutisce, il mondo si ammala”, ricordiamo l’Asiatica del 1957 e l’influenza di Hong Kong del 1968-69.

Tra le più recenti: la Sars, causata da virus proveniente dalla Cina, l’epidemia di HIV/AIDS esplosa negli anni ’80, la suina e l’aviaria trasmesse rispettivamente da questi animali infetti.

E ancora vaiolo, morbillo, tubercolosi, ebola, l’elenco è lungo fino ad arrivare al “nostro” Covid-19 di cui ancora c’è tanto da sapere.

Epidemie, accompagnate da carestie, guerre, malnutrizione, cattive condizioni igieniche sono state oggi quasi tutte debellate grazie ai progressi della comunità scientifica che alla fine dell’ ‘800 ha scoperto gli agenti patogeni responsabili, predisponendo metodologie di prevenzione e cura adeguate.

Malattie più letali del Coronavirus, ma che suscitavano meno clamore perchè non c’erano i media e il mondo non era interconnesso e perchè esistevano in un tempo in cui non c’era una ricerca spasmodica di una irraggiungibile eterna giovinezza né tanto meno il desiderio impossibile dell’immortalità del corpo. Il rapporto con la morte era diverso: il deperimento, la malattia, la vecchiaia erano la normalità.

Un mondo meno veloce ma paradossalmente più capace di fare i conti con l’incertezza, un mondo meno fragile. Oggi stiamo assistendo ad un imbarbarimento del vivere civile: quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile, lo si vede ovunque, ogni persona è un potenziale pericolo e basta uno starnuto a farci sobbalzare.

Ma conoscere l’esperienza del passato può aiutarci a lenire la paura.

L’Italia, come può, sta correndo ai ripari: in questo momento è importante il senso civico di ognuno di noi che nel proprio piccolo deve fare la sua parte adottando comportamenti responsabili per sé e per gli altri.

Abbiamo mostrato di avere ricercatori/trici di eccellenza che, seppure sottopagati e precari, lavorano costantemente nei loro laboratori per identificare virus.

La Sanità italiana, pure con tutte le falle del caso, resta una delle migliori al mondo; lo dimostra l’impegno profuso in questi giorni da tutto il personale sanitario per fronteggiare una tale emergenza. L’augurio è di riprendere la nostra vita quotidiana al più presto. Dalla nostra parte abbiamo armi in più rispetto al passato come farmaci condizioni igienico-sanitarie migliori e soprattutto il nostro asso nella manica, i vaccini.

Pertanto, pur non mettendo nel dimenticatoio, i caduti di questa battaglia, alla fine certamente vinceremo la guerra e a breve sicuramente dai TG sentiremo che anche quest’onda epidemica, così come è arrivata, se ne sarà andata, e il vaccino, anche quello, sarà stato trovato.

Nel frattempo, però, chiudiamoci in casa, aspettando che passi la tempesta.

Ce l’abbiamo fatta allora, ce la faremo ancora.

A proposito di Leda Rizzo

Mi sono laureata in Scienze e Tecniche psicologiche nel 2010, a Palermo. Ho lavorato nelle scuole e nelle comunità per minori. Attività che ho svolto con passione per diversi anni. Anche oggi sono impegnata nel sociale e saltuariamente collaboro con alcune associazioni onlus. Da sempre appassionata di arte e musica, amo viaggiare e conoscere “nuovi mondi”. Scrivo per diletto, mi piace raccontare le bellezze della nostra terra.

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