
Sono trascorsi vent’anni dall’uscita nelle sale cinematografiche italiane del film di Marco Tullio Giordana dedicato alla storia di Peppino Impastato, I Cento passi. Era un pomeriggio di fine estate e le storie di Peppino, Giovanni, Felicia e della mitica radio Aut si apprestavano a scolpire nei cuori degli spettatori la vita di un giovane che con passione e volontà di cambiamento andava sotto le chiuse finestre a denunciare le malefatte di una cultura mafiosa profondamente radicata nel territorio siciliano. A distanza di vent’anni resta immutata quella malinconia per la fine tragica di un ragazzo che come molti giovani suoi coetanei assisteva ai mutamenti silenziosi di una terra straziata dalla cementificazione sfrenata, dal traffico di droghe che in quei decenni stava iniziando a trovare nuove vie e nuovi mercati, e ad un muro del silenzio che poteva essere rotto solamente con le onde sonore proiettate nell’etere da una radio libera e indipendente. Il film di Giordana raccoglie alcuni frammenti della storia di Peppino e cerca di fare ordine in una biografia complessa caratterizzata da una condizione familiare piuttosto particolare.
Peppino, interpretato da un impressionante Luigi Lo Cascio, è un giovane attivista comunista amante della bellezza e della libertà che scrive le proprie idee sui giornali e che denuncia in piazza, proprio sotto il balcone del Sindaco di Cinisi, sua città natale, la speculazione edilizia che già nei primi anni sessanta stava vivendo un boom impressionante; una sorta di precursore dell’ambientalismo che oggi va tanto di moda ma calato in un contesto storico diverso da quello attuale e in una realtà in cui era difficile far vale le idee di legalità e tutela dell’ambiente, concetti probabilmente sconosciuti all’epoca. Ma Peppino è anche il membro di una certa famiglia, lui come il fratello Giovanni, interpretato dal bravissimo Paolo Briguglia. Nipote del boss di Cinisi, Cesare Manzella, rimase colpito dalle modalità della morte del capomafia, al quale succederà Don Tano Badalamenti suo braccio destro interpretato da un Tony Sperandeo in stato di grazia, tuttavia sotto l’ala protettrice del pittore e attivista del PCI Stefano Venuti, al quale presta il volto l’attore Andrea Tidona, il giovane maturerà le proprie convinzioni. Peppino compirà una cesura netta con la famiglia e il padre Luigi, anch’egli membro di Cosa Nostra anche se in posizione più defilata rispetto ad altri parenti, e per questo motivo verrà cacciato di casa. Il giovane Peppino non si lascerà intimorire dagli ostacoli, la chiusura del giornale, gli arresti nel corso delle dure manifestazioni, celebre la scena dei trattori realmente accaduta e che ricorda le immagini note scattate in Piazza Tienanmen nel 1989. Peppino continua a lottare e a trovare un modo per continuare a lottare, e lo trova nella radio, in quelle onde elettromagnetiche che gli permetteranno insieme al fratello e agli amici di urlare tutto il proprio dissenso contro un sistema mafioso al quale apparteneva per ius sanguinis ma che rifiutava con ostinazione in nome di quella libertà che fluiva nelle sue idee.
Peppino si è reso simbolo e rappresentante di un movimento che visse anche l’assenza di supporto da parte di quella politica di sinistra a cui si riferiva e dei contrasti con il PCI a causa dell’eccessiva indipendenza e, purtroppo, per quel cognome troppo ingombrante. Troverà posto in Democrazia Proletaria in occasione delle elezioni comunali e verrà ucciso nel corso di un agguato mafioso a poche settimane di distanza dalla misteriosa morte del padre che, nonostante lo avesse ripudiato, fino all’ultimo aveva tentato di salvare la vita del figlio dalla morte. Ma la sua morte passerà sotto silenzio, come scopriamo dalle parole del monologo recitato da un Claudio Gioè commosso e incisivo, poiché accaduta proprio il 9 maggio del 1978, giorno della scoperta del corpo di Aldo Moro. E in pieni anni di piombo a chi importava di quel siciliano, oltretutto presunto terrorista rosso, che si era fatto esplodere lungo i binari della ferrovia? Morto assassinato e ingiuriato
Peppino non ha potuto riposare in pace per decenni, tuttavia all’oblio, ai depistaggi e alle condanne pubbliche si sono opposti con coraggio la madre Felicia e il fratello Giovanni che insieme agli “amici siciliani”, come cantavano i Modena City Ramblers, hanno portato avanti una dura lotta contro un sistema che aveva contaminato ogni cosa. Una lotta su due fronti interconnessi, per la riabilitazione del nome di Peppino e contro la mafia. In quei giorni di fine estate di vent’anni fa usciva nelle sale cinematografiche italiane un film che narrava la vera storia di un figlio di questa terra bella e maledetta e lo faceva non per celebrare la solita agiografia postuma o l’ennesima rilettura di una figura trascurata dai libri di scuola, piuttosto per sollevare i cuori degli spettatori conducendoli al fianco dei coraggiosi che sfilarono per le strade di Cinisi sulle note di A whiter shade of pale portando sulle spalle una bara vuota, fin sotto quella nota finestra che distava cento passi dalla casa di Peppino, fin sotto la casa del boss Badalamenti, dove oggi è attiva una associazione che porta avanti la battaglia di Peppino contro la mafia.